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Società all’estero promiscue: per la Cassazione è indizio di reato

Costituire società all’estero – spesso a Londra – è un uso che ha acquisito grande popolarità negli ultimi anni. Una scelta che può portare all’accusa di esterovizione se le motivazioni che sottendono la decisione d’avviare o peggio spostare la propria attività all’estero sono meramente fiscali.

L’esterovizione è un illecito tributario che può essere indizio di reato penale se:

  • il rappresentante legale svolge contemporaneamente attività in Italia;
  • non esiste un contratto di locazione dei locali della sede estera per tutto il periodo di operatività della società;
  • il rappresentante legale utilizza un conto corrente italiano per gran parte delle operazioni.

A metterlo nero su bianco ci pensa la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 41683 depositata il 26 settembre 2018.

Segue estratto di stampa.

Fonte: il Sole 24 ORE – 27 settembre 2018

Gli indizi utilizzati ai fini fiscali per presumere l’esterovestizione di una società possono essere idonei anche ai fini penali se consentono, in base ad un ragionamento logico e non contraddittorio, di concludere che la sede effettiva della impresa non sia all’estero ma in Italia. Ne consegue che la titolarità di un rapporto di conto corrente in Italia utilizzato per gran parte delle operazioni, l’assenza di un contratto di locazione dei locali della sede estera per tutto il periodo di operatività della società, lo svolgimento in Italia da parte del rappresentante legale di una contemporanea attività, possono legittimamente contribuire al convincimento del giudice penale circa la natura solo fittizia della sede all’estero.

A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 41683 depositata ieri.

Nei confronti di una società sammarinese veniva ipotizzata l’effettiva sede in Italia: oltre alle conseguenze di natura fiscale, il legale rappresentante era perseguito penalmente per omessa presentazione della dichiarazione e per occultamento o distruzione di scritture contabili. In particolare, quest’ultimo delitto derivava dal rinvenimento di alcuni documenti fiscali della società presso terzi che non erano stati invece forniti all’amministrazione finanziaria né erano reperibili presso la sede estera.

Il rappresentante legale era assolto per l’omessa dichiarazione, stante il mancato superamento della soglia di punibilità, mentre era condannato nei due gradi di giudizio per l’occultamento delle scritture contabili. Ricorreva pertanto in cassazione lamentando, tra l’altro, che per giungere alla condanna il giudice penale di fatto aveva applicato le presunzioni tributarie previste dalla normativa fiscale in tema di esterovestizione prive di valore in sede penale.

La Cassazione ha respinto il ricorso rilevando che la decisione della Corte di appello in realtà aveva desunto la natura fittizia della sede legale della società da precisi dati di fatto: la titolarità di rapporti di conto corrente bancario sia in Italia che a San Marino, con l’utilizzo di quelli accesi in Italia per la gran parte delle operazioni; la testimonianza dell’unica dipendente della società che aveva riferito di aver avuto esclusivamente contatti con un avvocato e non con il legale rappresentante; il contemporaneo svolgimento da parte dell’imputato di un’attività in Italia ove era stata aperta una seconda sede; l’esibizione di un contratto di locazione finanziaria di soli due anni di un capannone a San Marino a fronte di una operatività societaria di circa nove anni; la documentazione mancante non depositata presso la sede estera della società.

I giudici di legittimità hanno così rilevato che, ai fini della contestazione della esterovestizione, non erano state utilizzate presunzioni tributarie di matrice civilistica, ma indizi di matrice penalistica. In altre parole, il giudice di merito non aveva fatto ricorso ad alcuna presunzione tributaria, ma aveva ricostruito in modo autonomo e dettagliato i fatti, desumendo con ragionamento per nulla contraddittorio né illogico che la sede effettiva della società sammarinese fosse situata in Italia. Da qui la conferma della condanna.